Anne-Sophie Pic, la funambula dei sapori

È l’unica chef tre stelle di Francia e nel 2011 è stata dichiarata la “migliore chef donna del mondo”. Ritratto di una figlia d’arte… autodidatta.

Un’insolita storia di famiglia

Figlia d’arte e autodidatta: sembra un paradosso. Ma nel caso di Anne-Sophie Pic è una realtà, legata alla sua storia singolare. Storia di una famiglia di cuochi che ha segnato la grande gastronomia francese. Tutto comincia con la bisnonna, Sophie, che apre il ristorante Auberge du Pin sulla strada per Saint-Péray in Ardèche. Poi suo figlio André, che nel 1934 ottiene le 3 stelle Michelin e nel 1936 si sposta lungo la nazionale 7, a Valence, dove è ancora oggi la Maison Pic. Gli succede Jacques nel 1956, che conferma le tre stelle. Nel 1969 nasce Anne-Sophie, che niente sembra portare verso la cucina: segue studi commerciali, vorrebbe lavorare nel mondo del lusso. Ma poi la passione di famiglia prevale. Nel 1992 Anne-Sophie Pic entra nel ristorante di famiglia e inizia un percorso prestigioso che la porterà a ottenere le 3 stelle Michelin nel 2007 e a creare un impero dei sapori che spazia dal Bistro 7 alla Dame de Pic Paris (1 stella Michelin), la scuola di cucina, la “cantine gourmande” Daily Pic, l’Epicerie, il ristorante al Beau Rivage di Losanna, il ristorante André a Valence, fino all’ultima apertura nel 2017: La Dame de Pic Londres, che ha già conquistato la sua prima stella. Abbiamo chiesto a Madame Pic di raccontarci cosa vuol dire essere l’unica chef tre stelle di Francia.

Lei ha raggiunto l’eccellenza in un mondo della cucina ancora in gran parte in mani maschili… com'è riuscita in quest'impresa?
Con passione e volontà. Ho sempre avuto una grande forza di carattere, una discreta dose di perseveranza che mi hanno certo aiutato a impormi in un mondo della cucina che è decisamente maschile. Penso abbia contato anche il mio essere autodidatta. Mi sono lasciata guidare dal palato, dall’odorato. Ho respirato fin da bambina gli odori della cucina. E ho creato i miei piatti seguendo intuizioni, emozioni. La tecnica è venuta poco a poco, con la pratica. Questo mi ha reso molto più libera di abbinare i sapori, di creare un mio stile, di ricercare un mio equilibrio nella cucina.

Quanto ha contato, nelle sue scelte e nel suo successo, essere figlia d’arte?
Fare parte di una famiglia di cuochi da quattro generazioni è certo importante. Ma ho dovuto allontanarmi da Valence, studiare all’estero per rendermi conto che la mia vita era in cucina. Partire per tornare. E ci ho messo dieci anni per ottenere a mia volta quella terza stella che è un po’ il marchio di famiglia. E altri dieci anni per creare una mia identità culinaria. Come diceva mio padre, bisogna costruirsi, l’esperienza non si compra e non si trasmette.

Innovazione e tradizione possono coesistere, quanto conta l’uno e quanto l’altro? Qual è nelle sue ricette il peso della tradizione e quello della contemporaneità?
Credo che una risposta stia nell’ultimo ristorante che ho aperto a Valence nel 2016, André. André è il nome di mio nonno e ho voluto celebrare proprio la storia culinaria della famiglia. Dopo 20 anni, continuo a esplorare, a ricercare abbinamenti di sapori, complessità aromatiche, quel particolare gusto amaro così difficile da cogliere e per me così interessante. Ma ho voluto valorizzare anche la cucina della mia famiglia, non dimentico le mie origini. L’innovazione e la creatività non sono nemiche della tradizione, piuttosto sono complementari. L’armonia è un equilibrio di contrasti. Nei piatti della carta di André, c’è la storia della famiglia Pic, in cui ogni generazione ha saputo creare il suo stile e dare prova di creatività: con un gioco di parole, direi farsi un nome, restando fedele al cognome di famiglia. In carta ci sono piatti mitici della cucina francese e di Pic, dal piccione in crosta di noci all’île flottante alla pralina rosa… piatti che hanno segnato un’epoca e che ho voluto rivalutare.

La sua è una cucina attenta alla materie prime, ai prodotti dell’orto – come la sua amata barbabietola – al territorio…
Sì la barbabietola è una mia passione insieme ad altre verdure dimenticate come la rapa o il cavolo. E poi amo le piante aromatiche, la verbena, la liquirizia, il rabarbaro, il thè macha, lo zafferano… Di un prodotto mi piace scoprire tutte le possibilità in cucina e ogni ingrediente contribuisce alla complessità aromatica di un piatto. Ingredienti, cotture, tecniche per offrire un’esperienza gustativa forte e sorprendente. Uso per esempio la noce di cocco come un contenitore naturale per cucinare una capasanta stufata. Adopero il caffè, il tè, i semi di cacao come condimento. Il piatto è una materia viva, ogni boccone deve offrire una diversa emozione gustativa, intensa, delicata, amara… La degustazione non deve mai essere un esercizio lineare, ma giocare con affinità e contrasti. Per questo ricerco sempre abbinamenti di sapore inediti, complessi.

E non a caso proprio la barbabietola è uno dei dieci piatti-signature, vero?
Sì! La mia “betterave plurielle”, ovvero textures fondenti e cremose di barbabietole gialle e rosse al caffè Blue Mountain, acidulata al crespino i cui piccoli frutti rossi hanno un sapore aspro-acido perfetto.

La sua è una cucina anche “raccontata”: lei ha scritto diversi libri, l’ultimo dedicato agli agrumi.
Agrumes è uscito ad ottobre, è un volume corposo (480 pagine) nato da una collaborazione con il Conservatorio degli Agrumi di San Giuliano in Corsica. Da anni con i ricercatori dell’Inra e del Cirad, ricerchiamo e sperimentiamo il patrimonio umano e gastronomico dei frutteti. Questo libro presenta la collezione di agrumi di San Giuliano e varietà particolari, 130 in tutto quelle descritte, valorizzando il patrimonio dell’isola. Una storia degli agrumi, dall’arancia al limone, al cedro, il sudachi, passando per lo yuzu, la clementina, il bergamotto, e la loro importanza per l’alta gastronomia. Con me ci sono artigiani, produttori, grandi nomi della gastronomia – da Alléno a Pierre Hermé, giusto per citare un paio di nomi, 18 stelle in totale - per 80 ricette, abbinamenti classici o più audaci, sempre creativi.

Un altro tassello nello spirito creativo di Anne-Sophie, la “Dame” Pic.