Philippe Léveillé – La passione, il burro & le spezie

Intervista di Rosalba Graglia

49 anni, francese di Nantes (o meglio bretone, come dice lui, attento più alla cultura che ai confini geografici), da 25 anni in Italia, Philippe Léveillé, chef 2 stelle Michelin, racconta la “sua“ cucina e le sue passioni a tavola: beurre, champagne & un pizzico di spezie...

Incontriamo Philippe Léveillé al Miramonti l’Altro, il suo elegante ristorante stellato di Costorio di Concesio, una decina di chilometri da Brescia. E subito gli chiediamo che cosa significhi per uno chef francese lavorare in Italia.“Sono orgoglioso di essere qui, e di essere francese, e dopo 25 anni posso dire di avere ormai creato una ‘mia’ cucina, che reinterpreta la tradizione del modo di cucinare italiano in maniera personale. La reinterpretazione personale è l’essenza dell’essere ristoratore”.

E della tradizione francese cosa è rimastonella sua cucina?
“Sicuramente il burro: a quello non posso rinunciare, e il burro lo acquisto solo in Normandia (Link esterno) e in Bretagna (Link esterno) , è un sapore e un ingrediente rigorosamente francese della mia cucina. E poi certo un senso dell’accoglienza cui tengo molto. Chi viene nel mio ristorante non deve soltanto mangiare bene, ma deve sentirsi bene: e io, mia moglie Daniela che è in sala, tutta la nostra équipe ci dedichiamo a fare stare bene i nostri ospiti”.

Che cosa pensa del pranzo tradizionale francese diventato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco (Link esterno) ? “Ne sono orgoglioso come francese, e penso che anche la cucina italiana, con i suoi prodotti d’eccellenza, abbia tutte le carte in regola per essere una grande cucina”.

Un ingrediente che non manca mai nella sua cucina, a parte il burro naturalmente... “Sono innamorato delle spezie e delle erbe. Forse non tutti sanno che la cucina bretone con cui sono cresciuto è una cucina speziata, una tradizione che rimanda alla storia e alle navi cariche di spezie dall’Africa, dall’Oriente, dall’America che arrivavano al porto di Nantes (Link esterno) . E basta pensare al grande chef bretone Olivier Roellinger, un vero cultore ed esperto delle spezie. Così, in ogni piatto dove è possibile, aggiungo un tocco di spezie e di erbe”.

Il suo piatto preferito? “Ah, quando sono a Parigi (Link esterno) , se è giovedì, vado alla Brasserie Lipp a mangiare il cassoulet. Adoro Lipp, i suoi camerieri impeccabili, così professionali. Mi metto nella sala in fondo, dove non ci sono mai turisti, e mi godo il cassoulet e l’atmosfera”.

E il piatto che ama di più cucinare? “Direi il mio ultimo piatto, quello che ho preparato per Vinitaly e ho dedicato al grande produttore di champagne Michel Drappier e alle sue leggendarie cuvée, a cominciare dalla cuvée De Gaulle: è un piccione alla brace con frittata di calamari, chorizo Joselito ed emulsione di foie-gras. Un piatto che unisce gusti e sapori italiani, francesi, spagnoli, e che amo molto...”.

Nel suo percorso professionale lei ha incontratograndi chef... “Naturalmente, e l’emozione più grande è stata agli inizi, quando avevo 18 anni, e lavoravo da Lucas Carton a Parigi: per un anno non l’ho nemmeno visto, il grande Carton, ma è stata una vera scuola di vita. E poi un paio di altri grandi chef che ho avuto la fortuna di incontrare, Georges Blanc e Joël Robuchon, due veri maestri”.

E se dovesse indicare il suo chef prediletto in assoluto? “Credo che Paul Bocuse sia un nome irrinunciabile nella cucina francese contemporanea. Ed è stato un grande onore per me essere tra gli chef che hanno festeggiato con lui i suoi 80 anni in Italia, a Ca’ del Bosco, in Franciacorta”.

Il suo vino preferito? “Naturalmente lo champagne del mio amico Drappier!”

Oggi gli chef sono vere star, vanno in televisione, tengono conferenze... cosa ne pensa della cucina-spettacolo di oggi? “Credo occorra soprattutto riportare l’attenzione sul ‘mestiere’ di chi fa cucina. È giusto che si parli di noi, del nostro lavoro, ma sempre stando attenti al mestiere e alle sue specificità. Soprattutto per i giovani che vogliono iniziare, e che spesso pensano di bruciare le tappe, diventare subito famosi, si illudono si tratti di un lavoro facile, in cui si incontra bella gente... E invece è un mestiere difficile e bisogna fare la gavetta, cominciare dalle cose semplici: pelare le patate, pulire le verdure, imparare con umiltà e pazienza. E poi far vedere quel che si sa fare…”.

Quando lei ha cominciato al Miramonti in cucina c’era la grande Mary Piscini, che poi sarebbe diventata sua suocera: come è stato il vostro rapporto di lavoro? “Beh, era la prima volta che lavoravo con una donna, una grande cuoca autodidatta. Direi che Mary era guidata soprattutto dall’istinto, da un senso innato per la buona cucina, io ero più tecnico. Lavorandole accanto, io sono una persona aperta, ho imparato a essere un po’ meno tecnico e a lasciare più spazio all’istinto, forse quella che chiamano creatività. Oggi mia suocera ha 81 anni, e dopo averne passati 45 ai fornelli, ha lasciato, ma il suo insegnamento è stato molto importante per me”.

Soprattutto, aggiungiamo noi, unito alla passione, che traspare dai gesti e dalle parole di Philippe Léveillé, e non solo per i fornelli. “Amo la vita, amo l’amicizia”. E la buona cucina, naturalmente.