Rudy Ricciotti, il ribelle

Un architetto che ama il Mediterraneo

Il percorso di Ricciotti è vario e intrigante: dallo Stadium, il padiglione per concerti rock di Vitrolles, una sorta di bunker di cemento costruito nel 1990 su una ex discarica di rifiuti, che gli ha dato fama internazionale, al Mucem, il Museo delle Civiltà dell’Europa e del Mediterraneo, passando per il Museo di arte contemporanea di Avignone, il Pavillon Noir ad Aix-en-Provence, la Passerella della Pace a Seul, la Nicolai Hall a Potsdam, il dipartimento delle Arti dell’Islam al Louvre, il Museo Cocteau di Mentone… Rudy Ricciotti ama il mare, il buon vivere, crede nel lavoro dei suoi muratori, da cui dice di aver imparato tutto, è contro gli schemi della globalizzazione. Ed è provocatore, poetico, visionario: come in questa intervista…

Lei è stato definito un architetto “brillante, innovatore, rivoluzionario, ribelle, provocatore, mediterraneo”… In quale o quali definizioni si riconosce di più?
Mediterraneo.

È per questo che lei pur lavorando in tutto il mondo, continua a vivere in Provenza… Cosa ama di più del Mediterraneo e del Midi?
Abito in un cabanon fra un promontorio e una calanque. Sono in vacanza, al lavoro, moderatamente, e soprattutto sono all’aria libera, impregnata di sale. E’ qui che vivrei sempre, con un barbecue per l’estate, un caminetto per l’inverno, una barca per l’autunno, per non dimenticare che l’orizzonte costruisce l’uomo. Non mi interessa tutto il mondo. Bisogna smetterla con le credenze antropologiche del XIX secolo. Jacques Tati ha fatto il bilancio della modernità nel film Playtime.

Qualche anno fa la Cité de l’Architecture di Parigi le ha dedicato una mostra monografica, una sorta di consacrazione del suo ruolo di architetto e del suo percorso, e ha ottenuto il Grand Prix National d’Architecture. Quali sono le opere a cui si sente più legato e perché?
Il Mucem, perchè volevo qualcosa di sensoriale, di fluido, come i capelli di una donna. Qui ho disegnato variazioni incredibili… Orientaliste, geometriche, astratte… E’ una dimensione immaginaria in cui ci si muove, ci sono rampe che fanno salire in un viaggio ascensionale che va dalla terra al cielo.

Pensa che la sua storia personale (e quella di un architetto in generale) influenzi la sua visione e le sue creazioni architettoniche?
Il Mucem, imprescindibile da Marsiglia, è anche un’espressione dell’insegnamento di una vita? Marsiglia è un orizzonte metafisico ansiogeno con il colore cangiante del mare… blu Klein, oltremare, grigio acciaio, rossa al tramonto… una città con lacerazioni immaginarie che non si cicatrizzeranno mai! Marsiglia resiste all’essere di tendenza, all’essere radical chic, bobo come diciamo in Francia, a quel gusto naif-commerciale della street art… Marsiglia “è” la strada. A Marsiglia mi piace cenare da Passédat, ristorante 3 stelle o al ristorante Le Môle sul tetto del Mucem o alla Baie des Singes (NDR: ristorante sul mare a Cap Croisette, nelle Calanques) oppure mangiare qualcosa fra le scogliere, bere un bicchiere da Antoine a Malmousque (NDR: quartiere sul mare di Marsiglia) o ubriacarmi in compagnia nella suite a mio nome all’hotel Petit Nice (NDR: l’hotel di lusso dello chef Gérard Passédat, dove sorge il suo ristorante). Il Mucem scava nella porosità immaginaria di Marsiglia e propone una tenerezza nuova… la stessa che si prova verso Quasimodo (NDR: il gobbo di Notre-Dame) quando si scopre la sua sensibilità… ma troppo tardi.

Parliamo della sua filosofia dell’architettura: il titolo di un suo pamphlet è emblematico “L'architecture est un sport de combat”. Ci può spiegare qual è il combattimento dell’architettura oggi?
L’architettura è un mestiere che bisogna onorare prima di aspettarsi che ci onori a sua volta.

Quali sono gli elementi che secondo lei costituiscono il savoir-faire francese in fatto di architettura?
Gli architetti francesi sono i migliori d’Europa con gli spagnoli e i portoghesi. La specificità francese è la capacità di far fronte a delle responsabilità eccessive.

La Biblioteca Umanista di Sélestat in Alsazia, di cui lei ha curato il restauro, verrà inaugurata a giugno 2018. Ci vuole raccontare questo progetto unico e quali sono le altre realizzazioni a cui lavora attualmente?
Il cemento e la pietra sono fratello e sorella. La Biblioteca Umanista di Sélestat è un’opera esemplare sul piano architettonico e del savoirfaire di chi ci lavora. Gli altri progetti sono la Maison de la Mode per Chanel a Parigi che sta per essere iniziata… e poi la stazione TGV a Nantes, la grande sala di spettacoli di Bordeaux appena inaugurata, la torre sulla Casa del Popolo a Clichy.

C’è un sogno, architettonico o no, che vorrebbe realizzare?
Avrei voluto far parte della Marina Nazionale, l’artiglieria, per tirare cannonate con il binocolo… e ho proprio voglia di comprarmi una qualche apparecchiatura autorizzata: un cannone spara polli.

NDR: Note del redattore