Yann Arthus-Bertrand, la nostra eredità al mondo

Cover story Fotografo, giornalista, documentarista e soprattutto ambientalista Yann Arthus-Bertrand, 75 anni compiuti a marzo, ha scoperto la passione per la fotografia a 30 anni.

La Terra vista dal cielo è stato il suo primo grande successo come è nata la passione di fotografare il mondo dall’alto?

A trent’anni sono partito con mia moglie Anne per il Kenya, nel parco Masai Mara, dove sarei rimasto tre anni, a fotografare i leoni. Stare a contatto con gli animali mi ha insegnato molto, mi ha educato a vivere nel mondo degli uomini. Avevo il brevetto di pilota di mongolfiere e tutte le mattine portavo i turisti ad ammirare la riserva dall’alto. La passione per le foto aeree è nata così, e così ho cominciato a pubblicare i miei scatti per riviste come Paris Match, Figaro Magazine, National Geographic, iAirone, in Italia. Il progetto della Terra vista dal cielo è arrivato anni dopo, nel 1994, con il patrocinio dell’Unesco.

Ci racconta come è nato quello scatto diventato iconico, il Cuore di Voh?

Era il 1992, sorvolavo la Nuova Caledonia quando il pilota mi dice che vuole mostrarmi qualcosa di speciale. Così scopro una radura a forma di cuore creata dalle mangrovie a Voh. Ero sbalordito. Sapevo che la foto sarebbe piaciuta ma non immaginavo si trasformasse in un simbolo, come un messaggio d’amore da parte della Terra. È diventata il logo del mio lavoro.

È sempre importante “Testimoniare la bellezza del mondo per tentare di proteggere la terra”, secondo il credo di La Terra vista dal cielo?

Non basta più. Certo, la bellezza è importante nei miei lavori. Diciamo che il fotografo ha una sensibilità estetica che può farci riflettere e indirizzarci verso comportamenti di tutela e protezione della bellezza del mondo. Ma oggi occorre agire concretamente, non solo testimoniare.

Nei suoi libri, nei suoi documentari, da Human all’ultimo Legacy, il tema del futuro della Terra è infatti sempre presente e urgente: cosa fare? E come ogni singola persona può “fare la propria parte”?

C’è una sola cosa da fare, e che possiamo fare tutti: consumare meno. Occorre guardare in faccia la realtà: dobbiamo ridurre i consumi di energie fossili – carbone, petrolio, gas – e puntare alle energie rinnovabili. La nostra economia dipende ancora troppo da energie fossili. Dobbiamo consumare meno carni di allevamenti intensivi. Rispettare e proteggere la biodiversità. L’uomo ha perso progressivamente il senso della vita, e deve ritrovare, e farsi guidare, dall’amore per la vita.

Come agisce in questo senso la fondazione GoodPlanet che lei ha creato?

GoodPlanet è nata nel 2005 per sensibilizzare ed educare alla protezione dell’ambiente, incitare tutti a impegnarsi in questo senso e far sì che il concetto di ecologia diventi parte delle nostre coscienze. Proponiamo film, eventi, incontri, parliamo di api, di turismo, di sostenibilità, di rifugiati. I nostri progetti sono per un’ecologia che ama l’uomo, e spaziano dalle scuole costruite secondo i principi dell’architettura bioclimatica, alle foreste e all’agricoltura sostenibile, la tutela e il ripristino della biodiversità, il recupero dei rifiuti domestici, le energie rinnovabili. Uno spazio aperto a tutti, per educarci a uno sviluppo sostenibile e a un impegno a ridurre le emissioni di CO2, proteggere gli ecosistemi, lottare contro i cambiamenti climatici e le pandemie. Davvero un impegno formidabile.

Lo sviluppo sostenibile è compatibile con il turismo? Se sì, in che modo? Quali sono secondo lei i punti di forza della Francia in questo senso?

Il turismo in Francia è una risorsa fondamentale, crea posti di lavoro, è un motore dell’economia. E il viaggio è una componente importante della nostra vita, ci permette di incontrare altre realtà, altre persone, altri mondi. Ma oggi lo spirito del viaggio va ripensato in senso sostenibile, intelligente. Un turismo slow che rispetti l’ambiente naturale, la cultura. Dobbiamo superare quel concetto di turismo massificato che vuole concentrare tutto in poco tempo, per esempio 3 giorni a Parigi, 2 a Roma e che si sposta solo in aereo. E ritrovare anche il piacere dello spostamento, dell’avvicinamento. In questo senso la Francia è un paese ideale, dove si può andare ovunque, rapidamente, in treno, in modo sostenibile ed ecologico. Io viaggio per lavoro, ma il mio turismo è in Francia. Che è perfetta per viaggi personalizzati, in località meno note, e ce ne sono tante, villaggi autentici, spazi naturali intatti, da scoprire. Un turismo lento di viaggi immersivi, viaggi su misura. Penso si andrà verso una maggiore permanenza nei luoghi, per godersi l’ambiente naturale, la cultura, la buona tavola, tutti punti di forza del viaggiare in Francia, la nostra art de vivre. Un turismo verde, di viaggi su misura, è il futuro del settore. Bisogna riprendersi il senso della vita e il piacere di una lentezza del viaggio da cui nascono vere emozioni di scoperta. E la Francia ha tutto per proporre un turismo slow sostenibile, che arricchisca e insieme rispetti l’ambiente.

Lei ha dichiarato di amare Parigi, una Parigi sempre più verde: cosa fa e cosa può ancora fare la città per un turismo del futuro sempre più sostenibile?

Parigi ha fatto grandi passi avanti, e certo può fare ancora di più. Io amo Parigi, anche se il mio ideale è vivere all’aria aperta, nel verde, sentire l’erba sotto i piedi. Ne ho bisogno. La città ha ancora troppe auto, sogno una Parigi sempre più green, una città tutta per le bici, in una nuova arte di vivere ecologica: Parigi scoperta in bicicletta è ancora più bella. La trasformazione verso una Parigi green è la scommessa, ed è in questo senso che la città si sta muovendo. Stanno nascendo aree verdi, orti urbani attorno ai canali... E poi la Senna: la Senna da vivere in battello è un piacere, andrebbe incrementato il modo di spostarsi ecologico sull’acqua. Obiettivo della Parigi del futuro è essere sempre più verde e sostenibile.

E cosa vede nel futuro del mondo, come ha raccontato in Legacy?

Per salvare il mondo dobbiamo tutti rimboccarci le maniche, e guardare in faccia la realtà, non c’è più tempo. Non stiamo parlando di qualcosa che potrebbe forse accadere tra due o tre secoli. Le prime vittime del surriscaldamento saranno i nostri figli e i nostri nipoti, occorre invertire subito e in modo significativo la rotta. La rivoluzione ecologica non partirà certamente da decisioni politiche perché chi ci governa viene eletto proprio per mantenere lo status quo. Non sarà scientifica, poiché gli scienziati ancora non sanno come sostituire con altre fonti energetiche i 100 milioni di barili di petrolio che l'uomo consuma ogni giorno. E non sarà neanche economica finché non verrà seriamente rimesso in discussione il dogma della crescita infinita. Per cambiare il mondo serve una trasformazione ben più profonda, una sorta di conversione. Non ci sarà una rivoluzione ecologica senza una rivoluzione spirituale che parta dall’amore, per la vita e per il mondo.